Tutte le volte che ho avuto l'occasione e la fortuna di passare delle giornate intere con la Baby mi sono chiesto se sarei in grado di sostituirmi in toto alla iMamma. Sarebbe ipotizzabile che sia io quello che prende il congedo di paternità e che si occupa al 100% della bambina? Sarebbe un modello giusto per gli equilibri familiari e per la crescita della piccola? Lo vorrei veramente?
Ho provato a capire cosa fanno altri padri, in Italia e in Inghilterra.
Per quanto riguarda il nostro sgangherato Paese, l'idea che mi sono fatto è che se qualcosa sta cambiando non è grazie a una mutazione culturale o per una genuina tensione verso la modernità anche dei modelli familiari. I cambiamenti in atto sono - tristemente - una reazione al difficile momento economico che stiamo attraversando e alla totale mancanza di servizi pubblici a disposizione delle famiglie con figli piccoli.
Non esistono politiche per la famiglia, non esistono incentivi reali come accade in Francia o Germania, esistono solo le misure miopi, ottuse e populiste tipo il bonus bebè. A questo punto, è naturale che ogni nucleo famigliare sia costretto a organizzarsi come può, per necessità e non per scelta.
Una delle conseguenze della crisi econimica in atto è che l'occupazione maschile sia in contrazione (- 0,8% su base annua) al contrario di quella femminile (+ 0,3%) che parrebbe essere in netta ripresa, stando a una ricerca dell'Istat ripresa oggi dai quotidiani. Il che, tradotto nel menage familiare, significa babbi a casa e mamme al lavoro. Naturalmente l'Istat ci ricorda che nonostante la crescita, l'occupazione femminile in Italia è ben lontana dagli standard europei...
Parlando di padri che hanno preso volontariamente il congedo di paternità, ci sono dei dati dell'INPS che affermano che nel 2008 in Lombarida sono stati 4 su 100 i papà che hanno deciso di stare a casa la posto delle mamma.
Depresso dai soliti nostrani scenari tetri, provo a guardare cosa succede nella civile Inghilterra e più in particolare nella moderna Londra prendendo sputno da una articolo di Economist che parla degli "stay at home dads", cioè i papà che hanno scelto occuparsi esclusivamente di casa e figli, lasciando a mogli e compagne il compito di andare al lavoro.
Il quadro che esce dal reportage è che questi padri casalinghi (stiamo parlando di trentenni che in origine avevano buone occupazioni e che hanno preso questa decisione liberamente e non costretti da contingenze o difficoltà) siano soddisfatti delle loro vite, ma che comunque sentano il peso di sfidare una convenzione sociale che persiste anche nel, pur avanzato, modello anglosassone.
Spesso questi padri si trovano a essere soli in contesti occupati da tutte donne: sono gli unici ad andare alle riunioni dei genitori all'asili, sono gli unici a guardare le lezioni di nuoto e sempre gli unici a portare i bambini al parco un tranquillo martedi mattina.
Ci sono, poi, altri problemi di natura sociale: i casalinghi, per esempio, possono avere delle difficoltà quando sono insieme ad altri uomini perchè perdono uno dei tipici argomenti di conversazione mschili: il lavoro. Gli uomini tendono a definirsi e a collocarsi in un contesto sulla base della loro professione, essere casalinghi sembrerebbe essere fuori da qualsiasi codice ad oggi accettato...
Poi ci possono scompensi e disequilibri all'interno della coppia: un uomo e una donna possono, per esempio, avere una diversa percezione del concetto di pulizia o di ordine, quindi affiorano degli attiriti per come il papà gestisce la conduzione della casa.
Alcuni di questi padri sanno che la loro occupazione di "casalinghi" è momentanea e che terminerà nel momento in cui i loro figli cresceranno ed inizieranno la fase scolare e quindi si organizzano questo break professionale. Alcuni si preparano per i test di ammissione ai master, altri seguono corsi di aggiornamento professionale o valutano opportunità ed investimenti per iniziare una attività in proprio. Rimane, comunque, una preoccupazione sottotraccia per quello che sarà il dopo.
In generale il modello sembra funzionare, pur con tutte le difficoltà tipiche degli esperimenti e delle realtà non convenzionali. A supportare questi babbi-pionieri esistono poi delle associazioni attive nel dare sostegno "operativo" a questi papà.
Il fenomeno, per quanto nuovo, non va assolutamente considerato marginale: uno studio dell'ente governativo inglese "Office for National Statistics" dichiara l'esistenza di circa 190.000 stay at home dad, cioè circa 1 ogni 11 padri inglesi.
Non so se interpreto bene ma credo anche che l'Inghilterra abbia un mercato del lavoro molto più dinamico e fluido del nostro, nel quale cioè sia più facile uscire (anche solo momentaneamente) per poi rientrare. In Italia, come dici tu, la situazione mi sembra più "ingessata" in generale, sia per le mamme che per gli eventuali babbi che scegliessero la casalinghitudine. E questo al di là della "distorsione" nella percezione sociale del babbo/casalingo a tempo pieno. Nel paese dei machos a tempo pieno...
RispondiEliminaciao.
percentuali altissime in UK, da noi come dici tu si fa così solo se costretti (perdita del lavoro)
RispondiEliminaPurtroppo, qui, per una famiglia con lavori normali normalmente pagati (tipo operaio e programmatore), non c'è nemmeno la possibilità di scegliere, salti mortali per farsì che la programmatrice possa fare qualcosa da casa i primi mesi e poi nido e un papi che si deve tenere stretto il lavoro e usare i permessi per l'inserimento al nido, perchè la mamma è riuscita a trovare uno straccio di lavoro lontano da casa e i primi mesi non può certo "perdere" ore per fare l'inserimento al nido.
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